ENZO REGA
Passione mondiale s’intitola
l’intervento di Guido Liguori, presidente della International Gramsci Society Italia, che apre lo speciale Global Gramsci che “Robinson” di
“Repubblica” (domenica 19 febbraio 2017) ha dedicato ad Antonio Gramsci
(1891-1937), “il più citato e forse il più tradotto tra i pensatori italiani”, come
scrive appunto Liguori, che parla di “ubiquità del leader sardo nelle
università internazionali, nelle scienze politiche e nell’antropologia, nella
linguistica e nello studio dei mass media, nella storia e nella pedagogia”; e
l’interesse per il suo pensiero va dal Pacifico all’Atlantico, dalle accademie
di Rio de Janeiro al King’ College londinese. Un Gramsci global sia geograficamente che per i campi disciplinari
attraversati: e non è di secondo piano l’interesse per la letteratura, a
cominciare dal giovanile avvicinamento al teatro. Un Gramsci minore, ma non marginale: il critico teatrale, così Fabio
Francione intitola l’introduzione a un’antologia di scritti teatrali pubblicati
nell’edizione torinese e poi piemontese dell’Avanti!: Antonio Gramsci, Il
teatro lancia bombe nei cervelli. Articoli,
critiche, recensioni 1915-1920 (pp. 235, € 18, Mimesis, Milano-Udine 2017).
Francione ricorda il giudizio di Eugenio Garin per il quale la critica teatrale
è un terreno privilegiato perché il dramma permette di tradurre “plasticamente”
le contraddizioni sociali più profonde. Torino, dove Gramsci viveva, era con
Milano e Roma una delle capitali del teatro, oltre che del nascente cinema
italiano, altra forma d’industria accanto alla Fiat. Nel confronto gramsciano
teatro-cinema è quest’ultimo a scapitarne, come in fondo accade in Quaderni di Serafino Gubbio operatore di
quel Luigi Pirandello che ha un posto di rilievo per il pensatore sardo, in un
giudizio altalenante – dalle recensioni teatrali giovanili ai Quaderni del carcere – che non toglie a
Gramsci di aver compreso ancora prima di Adriano Tilgher la grandezza del
drammaturgo siciliano. E Gramsci ha potuto vedere solo i drammi da Pensaci Giacomino! del 1916 a Come
prima, meglio di prima del 1920,
passando attraverso Liolà e Il piacere dell’onestà, a proposito del
quale formula un giudizio nel quale coglie meriti e ‘demeriti’: “Le sue
commedie sono tante bombe a mano che scoppiano nei cervelli degli spettatori e
producono crolli di banalità, rovine di sedimenti di pensiero. Luigi Pirandello
ha il merito grande di far, per lo meno, balenare delle immagini che escono
fuori dagli schemi soliti della tradizione, e che però non possono iniziare una
nuova tradizione, non possono essere imitate, non possono determinare il cliché alla moda” (29 novembre 1917).
Le riserve gramsciane sono messe in evidenza anche da Yuri Brunello
nella sua introduzione a Antonio Gramsci, La smorfia più che
il sorriso. Scritti su Pirandello (pp.
136, € 16,50, Castelvecchi, Roma 2017), volume che raccoglie le recensioni
teatrali e le note nei Quaderni
dedicate a Pirandello, ma anche ad autori o tematiche “limitrofe”: Martoglio,
Capuana, teatro e cinematografo ecc. Anche questo secondo titolo riprende una
considerazione gramsciana. Recensendo Pensaci,
Giacomino! (24 marzo 1917), Gramsci scrive: “I personaggi
sono oggetto di fotografia piuttosto che di approfondimento psicologico: sono
ritratti nella loro esteriorità più che in una intima ricreazione del loro
essere morale. È questa del resto la caratteristica dell’arte di Luigi
Pirandello, che coglie della vita la smorfia più che il sorriso, il ridicolo
più che il comico: che osserva la vita con l’occhio fisico del letterato, più
che con l’occhio simpatico dell’uomo artista e la deforma per un’abitudine
ironica che è l’abitudine professionale più che visione sincera e spontanea”. Gramsci
risentirebbe dunque ancora dell’idealismo crociano che distingue tra “poesia e
non poesia”, tra prodotto della conoscenza e opera esteticamente valida: sarebbe
invece poesia riuscita Liolà, dramma scritto
in siciliano, testo immune da acrobazie intellettualistiche. Il 4 aprile 1917
così lo recensisce: “il Pirandello ha ripensato alla sua creazione, e ne è
venuto fuori Liolà; l’intreccio
rimane lo stesso, ma il fantasma artistico è stato completamente
rinnovato: esso è diventato omogeneo, è
diventato pura rappresentazione, libero completamente di tutto quel bagaglio moraleggiante
che lo aduggiava”. Ed è l’uso del dialetto a far considerare Liolà, anche nei Quaderni, il risultato
più alto della drammaturgia pirandelliana. Nella recensione del 1917 Gramsci
riallaccia l’arte dialettale alla tradizione popolare della Magna Grecia, ai
fliàci, agli idilli pastorali, al “furore dionisiaco” della vita dei campi
ancora presente nella “tradizione paesana della Sicilia odierna”. La svolta che
Gramsci compie nei Quaderni a partire
dall’analisi del Canto X dell’Inferno di
Dante evidenzia il suo allontanamento
da Croce. E nei Quaderni giunge ad
analizzare in termini nuovi il dialetto di Liolà.
Nella Nota 15 del Quaderno 14 scrive:
“Ora pare che, nel teatro dialettale, il pirandellismo sia giustificato da modi
di pensare ‘storicamente’ popolari e popolareschi, dialettali, che non si
tratti cioè di ‘intellettuali’ travestiti da popolani, di popolani che pensano
da intellettuali, ma di reali, storicamente, regionalmente, popolani siciliani
che pensano e operano così proprio perché sono popolani e siciliani”. Il
dialetto e il “folcloristico” non si riagganciano più al mondo mitico-irrazionale,
ma esprimono una dimensione storico-sociale.
L’intellettuale ‘siciliano’ Pirandello realizza dunque un’opera
nazionale-popolare: la letteratura è elemento dell’egemonia culturale, nella
quale l’intellettuale è “organico” a un ceto
al quale dà voce. È quanto sia a proposito di Liolà che della concezione gramsciana della letteratura evidenzia Marco
Gatto, Nonostante Gramsci. Marxismo e
critica letteraria nell’Italia del Novecento (pp. 192, € 18, Quodlibet,
Macerata 2016): un libro che –
analizzate le posizioni gramsciane, incentrate su una critica letteraria
che, senza rinunciare alla propria specificità di analisi estetica, sappia
anche essere una generale critica della cultura in funzione dell’emancipazione
delle masse popolari – verifica la dissoluzione di tale del paradigma
gramsciano tra anni Sessanta e Settanta, quando o non si riesce a superare l’ipoteca
idealistico-crociana oppure si rinuncia al senso politico dell’arte e della
letteratura anche da parte marxista. Gatto sottolinea il superamento gramsciano
della dialettica dei distinti di stampo crociano e fa riferimento alla nota dei
Quaderni intitolata Nesso di argomenti, ricordando come il
pensatore sardo rimarchi l’eccessiva cultura libresca ed elitaristica di buona
parte degli intellettuali italiani, poco inclini a collegarsi a una dimensione
concreta e a comprendere la vita popolare: scrittori quasi affiliati a “una
casta o un sacerdozio” (Quaderno 12).
Di cosa bisognerebbe tenere conto? Ecco: “unità della lingua, rapporto tra arte
e vita, questione del romanzo e del romanzo popolare, quistione di una riforma
intellettuale e morale cioè di una rivoluzione popolare […]” (Quaderno 21). Gramsci se la prende con il “neolalismo” patologico di poeti
come Ungaretti, legati a “un linguaggio personalmente arbitrario” (Quaderno 23), e con il paternalismo di
un Manzoni verso gli umili. La conseguenza del distacco tra scrittori e popolo è
che la stessa letteratura italiana non è popolare in Italia. In Gramsci, dialetticamente, le contraddizioni “tra
una critica letteraria ferma al giudizio meramente estetico e una critica
politica che esalti il solo momento storico-materiale dell’opera sono superate
(e conservate) in una critica della cultura dinamica e militante, in cui non
esistono autonomie ma solo specificità” (Gatto).
Decisivo in questo è il “ritorno a De Sanctis”, come rileva anche Matteo
Veronesi, Il velo di Niobe. Gramsci
critico e la catarsi dell’arte, in Envoi
Gramsci. Cultura, filosofia, umanismo (a cura di Neil Novello, pp. 175,
euro 20, Campanotto, Pasian di Prato, Udine 2017): “Il ‘ritorno a De Sanctis’
caldeggiato da Gramsci in pagine celebri prospettava, appunto, una critica
capace di fondere i due aspetti, quello estetico e quello ideologico, il
cimento dell’ermeneutica e quello della militanza. […] Riviveva […] quell’idea
della letteratura come criticism of life
che era stata di Mattew Arnold, e poi di Wilde”. Sempre nel volume Envoi Gramsci, Roberto Salzano (Intorno alle cronache teatrali di Gramsci)
evidenzia come il pensatore sardo sia attento al “principio della
formalizzazione dei contenuti, che rimane essenziale nell’opera d’arte. Si
direbbe che non tanto la conciliazione di contenuto e forma può spiegare la
peculiare disponibilità euristico-interpretativa del posizionarsi gramsciano in
un’attività di giudizio critico, quanto un’attenzione alle forme del contenuto”, per dirla con Hjelmslev. Salzano richiama
l’attenzione anche sull’analisi gramsciana della “vitalità dell’azione umana”
che sulla scena si riverbera nel corpo stesso degli attori.
La centralità gramsciana delle riflessioni sulla letteratura si salda
come detto alla questione dell’egemonia, e questa a sua volta a una
problematica pedagogica. Riassume Gatto: “Il fine è l’educazione delle masse al
riconoscimento morale ed estetico della bellezza. E si tratta di una pedagogia
trasparente, lontana dagli inganni dell’egemonia borghese […] il marxismo, per
Gramsci è ‘l’espressione di […] classi subalterne che vogliono educare se
stesse all’arte di governo e che hanno interesse a conoscere tutta la verità’
(Q 10, 41, 1320)”. Questa autoeducazione popolare non ha nulla del dirigismo
sovietico-zdanovista. L’arte non si modifica dall’esterno, ma attraverso un
processo di rinnovamento che riguarda la società stessa. L’arte e la
letteratura sorgono in modo dinamico dalla cultura e dalla totalità sociale in
forme creative soggettive e persino imprevedibili. Sulla scia del fondatore del
materialismo storico – è di nuovo Veronesi a sottolinearlo – Gramsci,
nonostante la prospettiva storicistica, sottolinea l’eternità dell’arte:
“L’eternità della poesia, dice Gramsci (e si ricordi che lo stesso Marx,
nell’introduzione ai Grundrisse,
doveva pur riconoscere, rileggendo Omero in termini quasi vichiani, che un
‘perpetuo incanto’ continuava a irradiarsi da quegli antichi miti, che essi
continuavano a rappresentare un modello, un termine di paragone e una fonte di
piacere estetico perenni […]), consiste precisamente nella sua facoltà di
‘suggestione’, che le consente di andare al di là del dato immediato, di
trascendere la mera contingenza”. Ciò pone in rapporto più dinamico due altri
fondamentali concetti marxiani, quelli di struttura e sovrastruttura: per
Gramsci la coscienza degli uomini elabora la struttura in superstruttura in un
processo che coinvolge l’autocoscienza dell’individuo come parte, e insieme
specchio, della collettività stessa. Ribadire oggi, con Gramsci, l’importanza
sociale della letteratura, della cultura, non è cosa di poco conto.
©ENZO.REGA.IBALZIROSSI.IT
©L'INDICE DEI LIBRI DEL MESE
Pubblicato in "L'indice dei libri del mese", n. 5, Maggio 2018
Pubblicato in "L'indice dei libri del mese", n. 5, Maggio 2018
I libri
Antonio Gramsci, Il teatro lancia bombe nei cervelli. Articoli, critiche, recensioni 1915-1920, a cura di Fabio
Francione, pp. 235, euro 18,
Mimesis, Milano-Udine 2017
Antonio Gramsci, La smorfia più che il sorriso. Scritti su Pirandello, a cura di Yuri Brunello, pp. 136, €
16,50, Castelvecchi, Roma 2017
Marco Gatto, Nonostante Gramsci. Marxismo e critica letteraria nell’Italia del
Novecento (pp. 192, € 18, Quodlibet, Macerata 2016
Neil Novello, a cura, Envoi Gramsci. Cultura, filosofia,
umanismo, pp. 175, euro 20, Campanotto, Pasian di Prato, Udine 2017
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Complimenti, caro professore. Tutto quello che scrive è per me una miniera preziosa... Sempre così!
RispondiEliminaGrazie, caro professore. Ricambio la stima!
EliminaCome sempre, Enzo Rega, poeta e critico, impegnato e letterario, da sempre, si impone per serietà di analisi e e facilità espressiva. I suoi scritti, come ha osservato il prof. Pasquale Matrone, sono una miniera preziosa, non solo per quel prof., bensì per ciascuno di noi sia pure "alio modo".
RispondiEliminaGrazie, meraviglioso contributo Enzo. Per me un Gramsci abbastanza inedito. E si tratta di un lavoro che a maggior ragione è dato apprezzare, chiaro e lucido in esposizione.
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