domenica 17 luglio 2022

“UOMINI CONTRO” DI FRANCESCO ROSI: GUERRA E LOTTA DI CLASSE. UN LIBRO DI SAVINO CARRELLA E PASQUALE GERARDO SANTELLA

 di

Enzo Rega


[Unisco in un unico pezzo articoli usciti in "Obiettivo Saviano" e "Infiniti Mondi". Recupero il titolo usato in "Infiniti Mondi"]





  Il 15 novembre 1922 nasceva a Napoli, nel quartiere Montecalvario, il regista Francesco Rosi, al quale si devono pellicole come La sfida, Salvatore Giuliano, Le mani sulla città, Il caso Mattei, Cadaveri eccellenti fino all’ultimo, La tregua, da Primo Levi. Tutti film segnati da passione civile e impegno politico. Nell’anno del centenario della nascita lo ricordiamo con un libro dedicato a uno dei suoi film più significativi, Uomini contro, uscito nel 1970. Il libro a cui ci riferiamo, ricco di immagini, è uscito nel 2021 in italiano e in francese per le edizioni Gremese e si deve a Savino Carrella e a Pasquale Gerardo Santella.

   La struttura e le intenzioni del libro  

   Vidi per la prima volta Uomini contro di Francesco Rosi in occasione di un Cineforum presso il cinema Zara di Palma Campania, ora Teatro comunale. Era il 1976 ed ero studente liceale. Tra gli organizzatori un giovane Pasquale Gerardo Santella, tra i più ancor giovani spettatori l’amico Savino Carrella, anche lui studente. Sono loro gli autori di questo bel volume dedicato al capolavoro di Francesco Rosi, un libro ricco di foto pubblicato contemporaneamente in italiano e in francese nelle prestigiose edizioni Gremese, specializzate nella settima arte. Gli autori si sono divisi i compiti: Gerardo ha curato l’Introduzione, il Prologo, l’Epilogo e i Materiali; Savino Il racconto del film.

   Santella, in un ampio lavoro di “sintesi”, si è preoccupato di calare Uomini contro nel contesto della Grande Guerra, del cinema storico e degli altri film dedicati a quegli eventi bellici fino a Torneranno i prati (2014) di Ermanno Olmi, nonché nel clima proprio degli anni in cui è stato realizzato: il film è del 1970, quindi a ridosso della contestazione del ’68.

   Carrella ha compiuto un’analitica lettura scena per scena della pellicola, con attenzione agli aspetti tecnici dello specifico filmico, ma anche con un riscontro puntuale, volta per volta, con il libro al quale è ispirato, Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu, uscito dapprima nel 1938 in Francia, dove lo scrittore sardo era esule, e poi in Italia nel 1945 (il libro è disponibile nell’edizione Einaudi), riscontrandone sia le precise corrispondenze sia le evidenti differenze dovute al discorso che il regista napoletano portava avanti: non solo il pacifismo, ma anche l’antimilitarismo e la critica del potere.

   In un post su Fb, Santella sintetizza così l’aspetto e l’intento del libro scritto con Carrella: “Si tratta di una lettura storico-sociologica del film di Rosi con un confronto analitico con il romanzo Un anno sull’Altipiano di Lussu. Ma è soprattutto una condanna radicale degli orrori di tutte le guerre”.

 

   Verso il film: Santella racconta il suo “incontro” con Rosi e la guerra

   Ma seguiamo più da vicino l’articolazione del libro.

   Come ho fatto io stesso – mimeticamente – all’inizio di questo pezzo, Santella, aprendo il libro, parte dalla sua esperienza personale, per arrivare al film, e passare dalla microstoria alla macrostoria. Sappiamo così che il suo incontro con Rosi avviene proprio sul set del suo primo film, La sfida (1958), dedicato al camorrista Pascalone ’e Nola, che poi era di Palma Campania: nelle campagne di Palma, paese degli autori di questo libro, furono girate alcune scene, alle cui riprese assisté Gerardo ragazzino. Il suo incontro con gli eventi della guerra era invece mediato dalla presenza del nonno Gerardo, reduce “refrattario a qualsiasi manifestazione retorica che ricordasse la guerra, di cui preferiva non parlare” (p. 13): un rifiuto che il nipote Gerardo poté spiegarsi quando, con la visione di Uomini contro, ebbe idea delle atrocità belliche. Infine, l’avvicinamento all’ambientazione del film si completa con il racconto dei primi anni di insegnamento di Gerardo, proprio sull’altopiano, alle pendici di Asiago, in Veneto.

 

   La guerra vista dal basso e il cinema storico

   In questo modo, veniamo dunque introdotti nello specifico del film, ma anche del libro. Il riferimento alla guerra del nonno è funzionale a comprendere un aspetto fondamentale: “la storia vista dal basso”, dalla “gente comune”. I protagonisti non sono qui capi di stato e comandanti militari, benché vi compaia lo spietato generale Leone (nei suoi panni perfettamente calato l’attore francese Alain Cuny), ma “le degradanti condizioni della vita in trincea, l’insubordinazione dei soldati agli insensati ordini dei comandanti, la fraternità con i nemici; ‘antieroi’ quali i disertori, ed elementi che hanno avuto notevoli effetti sul piano sociale, come la fame, il freddo, le malattie, l’incontro e l’interazione al fronte di una babele di dialetti, abitudini e costumi diversi” (p. 15).

   Il cinema diventa dunque una “fonte storica” che non dà solo informazioni sul passato, ma lo mette in scena, il che corrisponde all’intenzione di Rosi di rendere lo spettatore attivo. Le immagini di Rosi traducono – pur nella libertà interpretativa del regista, che a sua volta crea la propria opera personale a partire da un testo già esistente – il racconto di Lussu, il quale, nel suo diario di guerra, non ha voluto raccontare “tutta” la prima guerra mondiale – da lui interamente combattuta per tre anni e mezzo – ma darne un terribile assaggio concentrandosi su un segmento particolare: il periodo nel quale la sua Brigata Sassari, dal maggio 1916 al luglio 1917, è andata ripetutamente a infrangersi contro le inespugnabili trincee austriache. Offrire un solo spaccato, osserva Santella, spinge il lettore ad andare mentalmente a prima e a dopo prolungando nel tempo l’orrore della guerra. Per dare l’idea dell’insensatezza della guerra, Rosi comincia il film con uno scontro notturno tra due pattuglie italiane che si sono scambiate reciprocamente come austriache, un caso di “fuoco amico”.

 

   Lo specifico filmico e il confronto con il libro

   Carrella, aprendo la propria sezione, sottolinea, a proposito di questo episodio notturno iniziale, la modalità formale con la quale lo tratta il regista in vista di ciò che vuole trasmettere: “Buio, così buio che, verghianamente non ci si vede neanche a bestemmiare. Spente le luci della sala, inizia il film, ma lo schermo è completamente nero. Il buio della sala si fonde con quello dello schermo. Lo spettatore resta così al buio, condivide la situazione dei personaggi di cui si cominciano a udire le voci: il regista ci vuole dire che sarà un’esperienza che ci colpirà come uno schiaffo in pieno volto, che il nostro viaggio nella follia della guerra non sarà accomodante” (p. 49). Possiamo aggiungere, con riferimento alla teoria della comunicazione, che come il silenzio, anche il buio “parla”. E il silenzio e il buio sono infranti dalle grida dei soldati e dai lampi di colpi di fucile e bombe a mano. L’episodio, c’informa Savino, è identico a quello del libro. Il buio non ci ha ancora lasciati, perché è su uno sfondo nero che scorrono i titoli di testa, finché, da una nebbia spessa cominciano a emergere figure di soldati. Non è presente invece nel libro l’episodio successivo nel quale alcuni militari vengono legati ai reticolati, esposti al fuoco nemico: entra in gioco il metodo-Rosi, cioè integrare il materiale desunto dal libro di Lussu attingendo ad altre fonti; in questo caso la fonte è il padre del regista che, in forza al Genio Militare, aveva scattato foto di soldati sottoposti a quella terribile punizione. Tra le differenze rispetto al libro ne va segnalata una, per così dire, strutturale: se nel diario di Lussu fa spesso capolino l’ironia, pur nelle vicende tragiche, “Nel film di Rosi, invece, non c’è l’ironia del libro; il regista, nella sua denuncia degli orrori della Grande Guerra ma di tutte le guerre, rinuncia all’arma dell’ironia e va avanti a colpi di accetta, mantenendola affilata attraverso la rabbia e l’indignazione” (p. 66), osserva Carrella che sottolinea come la mancanza di ironia sia cifra stilistica che caratterizza tutto il cinema del regista, tranne qualche eccezione. Infine, nel film si sottolinea maggiormente l’aspetto politico: si polarizzano nei due personaggi del sottotenente Sassu (impersonato da Mark Frechette) e del sottotenente Ottolenghi (Gianmaria Volonté) il liberalismo e il socialismo, e con le loro posizioni viene sintetizzato un episodio più articolato nel libro. Ottolenghi dice che è contro i comandi sia italiani sia austriaci che bisognerebbe sparare, e bisognerebbe sparare fino a Roma, concludendo: “Il popolo va al governo. È il socialismo” (p. 76).

 

   Il “nemico interno” e la lotta di classe: un messaggio universale

   È così che Carrella può spiegare il titolo Uomini contro: non “nemici contro”. I soldati italiani e austriaci non sono altro che “uomini” costretti a uccidersi, e non mancano nella guerra episodi nei quali i militari contrapposti nelle trincee fraternizzano tra loro, come in tregue tacitamente stipulate in occasione di festività, o nell’episodio nel quale gli austriaci chiedono ai soldati italiani che stanno avanzando facendosi massacrare di smetterla, di ritirarsi: i “nemici” si alzano sulle trincee smettendo di sparare.

   Il nemico è invece all’interno dei rispettivi fronti; sono i vertici militari e politici. Il titolo adombra quindi un altro conflitto, la lotta di classe tra chi ha e chi non ha, tra chi comanda e chi deve sottostare a ordini, e a un ordine sociale, ingiusti. È questo il significato più generale che il film assume e la guerra diventa un tragico pretesto per alludere alle ingiustizie che pervadono il mondo. Mentre rimane una forte condanna della guerra, il film, oggi, come allora, ci parla anche d’altro, ci parla della società in generale e della condizione umana. Ma ciò è proprio dell’opera d’arte: contingente e universale al tempo stesso.

   A proposito dell’aspetto politico, qualche critico ha rilevato che Rosi in Uomini contro ha dato un’interpretazione marxista della grande Guerra, e lo fa riprendendo dal filosofo ungherese György Lukács i concetti di “totalità”, “realismo”, “tipico”. In quest’ottica si sottolinea la dialettica tra il momento storico particolare e gli sviluppi successivi del conflitto di classe. La trincea svolge la stessa funzione della fabbrica, e il fante, come l’operaio, resta ignaro del disegno complessivo e del “prodotto” d’insieme. Il sistema trascende il fante come l’operaio. Nel film, in definitiva, si crea una dialettica tra alto e basso: da un lato il regista trae dai documenti una visione d’insieme, dall’altro però riproduce il punto di vista di chi combatte nelle trincee. Non solo: Rosi guarda al libro di Lussu come prodotto “tipico” di quella determinata fase storica e delle relazioni di classe che la caratterizzano. In definitiva, la chiave marxista “non si esplica solo nel fatto che Rosi abbia applicato una lettura di classe al conflitto narrato, ma nella presentazione della totalità economico-ideologica del conflitto allora in atto” (Mimmo Cangiano, Raccontare la totalità. Uomini contro di Francesco Rosi, 2017, cit. e discusso da Santella a p. 118 e passim).  

 

- Savino Carrella – Pasquale Gerardo Santella, Uomini contro di Francesco Rosi, ill., Gremese 2021, p. 144

- Savino Carrella – Pasquale Gerardo Santella, Les Hommes contre de Francesco Rosi, ill., Gremese International 2021, pp. 140