ENZO REGA
L’anno
scorso cinquantenario della morte di Antonio Gramsci, avvenuta il 27 aprile del
1937 per le conseguenze della detenzione fascista. Quest’anno bicentenario
della nascita di Karl Marx: 5 maggio 1818, Treviri, Germania. Cosa rimane del pensiero
dei due comunisti? Gramsci è uno dei filosofi politici più studiati al mondo.
Marx era dato per spacciato già negli anni Settanta, paradossalmente proprio
nelle ultime stagioni più politicizzate: intorno al 1978, nel suo corso
universitario di Storia delle dottrine economiche, lo storico napoletano
Pasquale Villani ci ricordava come Marx venisse accusato di essere datato
perché aveva analizzato il capitalismo ottocentesco. Ebbene, nel suo libro del
2008, La nuova Londra: capitale del XXI
secolo (Garzanti), Marco Niada, ai tempi collaboratore de “Il Sole 24 Ore”,
analizzando la situazione della capitale inglese, in quegli anni piazza
economico-finanziaria anche più importante di New York - e in relazione all’espansione
del neocapitalismo –, si chiedeva: allora Marx aveva torto? E rispondeva di no:
quell'espansione portava, marxianamente, le contraddizioni al proprio interno.
Contraddizioni esplose nella crisi internazionale dello stesso 2008.
I conti con
Marx sono allora tutt'altro che chiusi. Già nel 2009 il giovane e discusso
filosofo italiano Diego Fusaro – studioso anche di Gramsci – pubblicava Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero
rivoluzionario (Bompiani). Fusaro “legge” in termini marxiani anche gli
odierni flussi migratori: il capitalismo ha, oggi come ieri, bisogno di un
surplus di manodopera – quella che Marx chiamava “sovrappopolazione relativa” o
“esercito industriale di riserva” – per tenete bassi i salari. È l'altro volto
della delocalizzazione: l'apertura di fabbriche in paesi dove la manodopera
costa meno. È sempre vero allora che il plusvalore (il profitto) è pluslavoro,
lavoro in più non retribuito. Dunque, bisogna tenere bassi i salari; il che
innesca un’altra tipica contraddizione marxiana: produrre sempre di più – perché per essenza il capitalismo è produzione
non di beni ma di merci – per una massa di persone che non ha più la capacità
di acquistare. Da qui crisi cicliche di sovrapproduzione, le cui “date” Marx
aveva allora previsto. Come intuiva la vocazione alla mondializzazione – oggi
diremmo globalizzazione – del
capitalismo.
Marx avrebbe
fallito però proprio la sua profezia principale: il crollo definitivo del
capitalismo. Il comunismo si è affermato - in forme che forse c’entrano poco
con Marx - nei paesi arretrati e non in quelli economicamente avanzati. A parte
il fatto che Marx aveva pure previsto che la rivoluzione sarebbe scoppiata
proprio in Russia, la tenuta è dovuta alle contromisure prese dal capitalismo
che ha “imparato” le proprie debolezze proprio dalle analisi marxiste. Villani,
in quel lontano corso universitario, ci sorprese ancora dicendo che c'era chi
accusava Marx di essere stato utile alla borghesia, perché con Il capitale del 1867 aveva spiegato ai
capitalisti come funzionava, o non funzionava, il capitalismo.
Infine, Marx
avrebbe semplificato la società dividendola in due classi sociali, borghesia e
proletariato. Ebbene, a quella polarizzazione sembra si stia tornando dalla
crisi del 2008 con la riproletarizzazione di ampi strati del ceto medio. E
sempre più i lavoratori per le grandi multinazionali sono pezzi accanto ad
altri pezzi. La richiesta di giustizia sociale rimane urgente per la riumanizzazione
dell’uomo. Il Marx giovane e “umanista” dei Manoscritti
del 1844 ci parla anche ai tempi del capitalismo finanziario.
©ENZO.REGA.IBALZIROSSI.IT
Pubblicato in "Il Pappagallo. Quindicinale di informazione politica e culturale dell'area vesuviana" (Palma Campania), Anno XXII, Maggio 2018, Numero 399
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