lunedì 25 giugno 2018

Ancora Marx per la riumanizzazione dell’uomo. Il filosofo tedesco attuale anche ai tempi del neocapitalismo finanziario

di
ENZO REGA





L’anno scorso cinquantenario della morte di Antonio Gramsci, avvenuta il 27 aprile del 1937 per le conseguenze della detenzione fascista. Quest’anno bicentenario della nascita di Karl Marx: 5 maggio 1818, Treviri, Germania. Cosa rimane del pensiero dei due comunisti? Gramsci è uno dei filosofi politici più studiati al mondo. Marx era dato per spacciato già negli anni Settanta, paradossalmente proprio nelle ultime stagioni più politicizzate: intorno al 1978, nel suo corso universitario di Storia delle dottrine economiche, lo storico napoletano Pasquale Villani ci ricordava come Marx venisse accusato di essere datato perché aveva analizzato il capitalismo ottocentesco. Ebbene, nel suo libro del 2008, La nuova Londra: capitale del XXI secolo (Garzanti), Marco Niada, ai tempi collaboratore de “Il Sole 24 Ore”, analizzando la situazione della capitale inglese, in quegli anni piazza economico-finanziaria anche più importante di New York - e in relazione all’espansione del neocapitalismo –, si chiedeva: allora Marx aveva torto? E rispondeva di no: quell'espansione portava, marxianamente, le contraddizioni al proprio interno. Contraddizioni esplose nella crisi internazionale dello stesso 2008.
I conti con Marx sono allora tutt'altro che chiusi. Già nel 2009 il giovane e discusso filosofo italiano Diego Fusaro – studioso anche di Gramsci – pubblicava Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario (Bompiani). Fusaro “legge” in termini marxiani anche gli odierni flussi migratori: il capitalismo ha, oggi come ieri, bisogno di un surplus di manodopera – quella che Marx chiamava “sovrappopolazione relativa” o “esercito industriale di riserva” – per tenete bassi i salari. È l'altro volto della delocalizzazione: l'apertura di fabbriche in paesi dove la manodopera costa meno. È sempre vero allora che il plusvalore (il profitto) è pluslavoro, lavoro in più non retribuito. Dunque, bisogna tenere bassi i salari; il che innesca un’altra tipica contraddizione marxiana: produrre sempre di più –  perché per essenza il capitalismo è produzione non di beni ma di merci – per una massa di persone che non ha più la capacità di acquistare. Da qui crisi cicliche di sovrapproduzione, le cui “date” Marx aveva allora previsto. Come intuiva la vocazione alla mondializzazione – oggi diremmo globalizzazione –  del capitalismo.
Marx avrebbe fallito però proprio la sua profezia principale: il crollo definitivo del capitalismo. Il comunismo si è affermato - in forme che forse c’entrano poco con Marx - nei paesi arretrati e non in quelli economicamente avanzati. A parte il fatto che Marx aveva pure previsto che la rivoluzione sarebbe scoppiata proprio in Russia, la tenuta è dovuta alle contromisure prese dal capitalismo che ha “imparato” le proprie debolezze proprio dalle analisi marxiste. Villani, in quel lontano corso universitario, ci sorprese ancora dicendo che c'era chi accusava Marx di essere stato utile alla borghesia, perché con Il capitale del 1867 aveva spiegato ai capitalisti come funzionava, o non funzionava, il capitalismo.
Infine, Marx avrebbe semplificato la società dividendola in due classi sociali, borghesia e proletariato. Ebbene, a quella polarizzazione sembra si stia tornando dalla crisi del 2008 con la riproletarizzazione di ampi strati del ceto medio. E sempre più i lavoratori per le grandi multinazionali sono pezzi accanto ad altri pezzi. La richiesta di giustizia sociale rimane urgente per la riumanizzazione dell’uomo. Il Marx giovane e “umanista” dei Manoscritti del 1844 ci parla anche ai tempi del capitalismo finanziario.

©ENZO.REGA.IBALZIROSSI.IT

Pubblicato in "Il Pappagallo. Quindicinale di informazione politica e culturale dell'area vesuviana" (Palma Campania), Anno XXII, Maggio 2018, Numero 399

Nessun commento:

Posta un commento