lunedì 17 settembre 2018

Lettera da Parigi sulla poesia mediterranea

di
ENZO REGA







Paris-Orly, 26 agosto 2010


   Senza dubbio, tra le capitali nord europee, Parigi è la più meridionale, la più mediterranea. A poca distanza da Londra, il cielo di Parigi parla da solo (eppure, m’è capitato d'imbattermi in un azzurro cielo londinese, ma l'azzurro di quello parigino ha una profondità e un'intensità diverse). Con questo sguardo da nord, per quanto un nord vicino, mi viene fatto meglio di parlare della nostra "Poesia Meridiana". Che non sia chiusura allora in un orizzonte, per quanto grande e grato: ma punto di partenza verso altre direttrici e punto di convergenza. Già il fatto che la poesia del sud sia stata intesa non solo in relazione al meridione d'Italia, ma si si sia aperta al Mediterraneo, e quindi ai Sud del mondo, evita questa possibile chiusura etnocentrica. Nell'incontro sulla poesia in Campania (II edizione del Festival della poesia del Sud... e per il Sud),[1] ho avuto anch'io, penso, nel mio piccolo, il merito di richiamare l'attenzione sul fatto che la "questione meridionale" ormai andava necessariamente declinata, aggiornandola in risposta alle sfide d'un mondo globalizzato e globalizzante, come "questione mediterranea".
   Il che significa poi altre cose, al di là dell'orizzonte squisitamente e esclusivamente geografico. Sventolare la bandiera del Sud, agitare la questione meridionale, ha, insieme e attraverso quello culturale (antropologico-culturale e cultural-letterario), un significato politico. Già negli anni settanta, quando si consumavano gli ultimi fuochi d'un impegno politico - che sembrava nuovo, per come veniva declinato dal Movimento, ma era ancora legato al vecchio mondo moderno che si avviava a essere superato dal disimpegno della postmodernità -, già allora, insomma si capiva come la vecchia questione marxista del conflitto tra le classi - borghesia/proletariato - nella dimensione planetaria sarebbe diventata necessariamente rapporto Nord/Sud.
   E eccoci qui: schierarsi per il Sud significava essere al fianco del nuovo proletariato mondiale. Non è dunque, non dovrebbe perlomeno essere una sorta di sciovinismo au contraire. Per quanto mi riguarda, non mi sento di dire che il Sud sia sempre più "bello", così come non direi che il popolo (inteso socialmente come classe o antropologicamente come mondo contadino) sia necessariamente e sempre più "buono". E non so se il vecchio mondo contadino sia una sorta di paradiso al quale tornare. Ma non è questo il problema. Credo. La questione è invece che, se sono crollati i sistemi pseudo-para-socialisti, a sua volta il mondo capitalistico - che identifichiamo con il Nord e con l'Occidente - continua a non sembrarci in grado di risolvere il problema della felicità dell'umanità.
   Allora, quel Sud, con il quale politicamente ci schieriamo, da punto di partenza di direttrici mentali con le quali giudicare il resto del mondo, diventa punto di convergenza per individuarvi, ritrovarvi quegli elementi di vivibilità umana, sociale che il mondo globalizzato va smarrendo, forse ha perduto completamente.
   La Poesia Meridiana, allora, è la voce di queste terre, il grido di questi popoli, il campo sul quale si gioca la possibilità d'un'alternativa. Non so - non so neanche questo - se ciò che rimane lo fondano i poeti, come diceva Hӧlderlin ripreso da Heidegger, e se la poesia salverà la vita. Semplicemente, certi poeti ci dicono - e meglio - ciò che pensiamo. E ce lo ricordano quando non siamo capaci di tenere noi sveglio il nostro pensiero, la nostra sensibilità.



[1] Mi riferisco agli incontri del Centro di poesia di Paolo Saggese, Giuseppe Iuliano, Alessandro Di Napoli con sede a Nusco (Avellino). Questa “corrispondenza”, rimasta inedita credo, mi fu chiesta da loro. Mi pare importante (ri)proporla proprio in questi tempi infausti. In questa tragica rinnovata centralità del Mediterraneo.

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