ENZO REGA
Paris-Orly, 26 agosto 2010
Senza dubbio, tra le capitali nord europee, Parigi è la più meridionale,
la più mediterranea. A poca distanza da Londra, il cielo di Parigi parla da
solo (eppure, m’è capitato d'imbattermi in un azzurro cielo londinese, ma
l'azzurro di quello parigino ha una profondità e un'intensità diverse). Con
questo sguardo da nord, per quanto un nord vicino, mi viene fatto meglio di parlare
della nostra "Poesia Meridiana". Che non sia chiusura allora in un
orizzonte, per quanto grande e grato: ma punto di partenza verso altre
direttrici e punto di convergenza. Già il fatto che la poesia del sud sia stata
intesa non solo in relazione al meridione d'Italia, ma si si sia aperta al
Mediterraneo, e quindi ai Sud del mondo, evita questa possibile chiusura
etnocentrica. Nell'incontro sulla poesia in Campania (II edizione del Festival
della poesia del Sud... e per il Sud),[1] ho
avuto anch'io, penso, nel mio piccolo, il merito di richiamare l'attenzione sul
fatto che la "questione meridionale" ormai andava necessariamente
declinata, aggiornandola in risposta alle sfide d'un mondo globalizzato e
globalizzante, come "questione mediterranea".
Il che significa poi altre cose, al di là dell'orizzonte squisitamente e
esclusivamente geografico. Sventolare la bandiera del Sud, agitare la questione
meridionale, ha, insieme e attraverso quello culturale (antropologico-culturale
e cultural-letterario), un significato politico. Già negli anni settanta,
quando si consumavano gli ultimi fuochi d'un impegno politico - che sembrava
nuovo, per come veniva declinato dal Movimento, ma era ancora legato al vecchio mondo moderno che si avviava a
essere superato dal disimpegno della postmodernità -, già allora, insomma si
capiva come la vecchia questione marxista del conflitto tra le classi -
borghesia/proletariato - nella dimensione planetaria sarebbe diventata
necessariamente rapporto Nord/Sud.
E eccoci qui: schierarsi per il Sud significava essere al fianco del
nuovo proletariato mondiale. Non è dunque, non dovrebbe perlomeno essere una
sorta di sciovinismo au contraire.
Per quanto mi riguarda, non mi sento di dire che il Sud sia sempre più
"bello", così come non direi che il popolo (inteso socialmente come
classe o antropologicamente come mondo contadino) sia necessariamente e sempre più
"buono". E non so se il vecchio mondo contadino sia una sorta di
paradiso al quale tornare. Ma non è questo il problema. Credo. La questione è
invece che, se sono crollati i sistemi pseudo-para-socialisti, a sua volta il
mondo capitalistico - che identifichiamo con il Nord e con l'Occidente -
continua a non sembrarci in grado di risolvere il problema della felicità
dell'umanità.
Allora, quel Sud, con il quale politicamente ci schieriamo, da punto di
partenza di direttrici mentali con le quali giudicare il resto del mondo,
diventa punto di convergenza per individuarvi, ritrovarvi quegli elementi di
vivibilità umana, sociale che il mondo globalizzato va smarrendo, forse ha
perduto completamente.
La Poesia Meridiana, allora, è la voce di queste terre, il grido di
questi popoli, il campo sul quale si gioca la possibilità d'un'alternativa. Non
so - non so neanche questo - se ciò che rimane lo fondano i poeti, come diceva
Hӧlderlin ripreso da Heidegger, e se la poesia salverà la vita. Semplicemente,
certi poeti ci dicono - e meglio - ciò che pensiamo. E ce lo ricordano quando
non siamo capaci di tenere noi sveglio il nostro pensiero, la nostra
sensibilità.
[1] Mi riferisco agli incontri del
Centro di poesia di Paolo Saggese, Giuseppe Iuliano, Alessandro Di Napoli con
sede a Nusco (Avellino). Questa “corrispondenza”, rimasta inedita credo, mi fu
chiesta da loro. Mi pare importante (ri)proporla proprio in questi tempi
infausti. In questa tragica rinnovata centralità del Mediterraneo.
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