sabato 11 aprile 2020

Cleto, il paese dell’ancella di Enea


In Calabria uno dei borghi caratteristici del Sud

Testo e foto di 
ENZO REGA





Sali su per le pendici del Monte Sant’Angelo, in un paese adagiato sulla roccia, e torni indietro nel tempo. Sono quei paesi che puoi trovare in Calabria, in Irpinia, in Abruzzo. O in Umbria e in Toscana. Ma ci fermiamo piuttosto al Mezzogiorno, perché qui ci viene incontro una certo tipo di petrosità dell’abitato che non troveremmo spostandoci più a Nord (o che sarebbe diversa). Qui siamo a Cleto, in provincia di Cosenza, fra i fiumi Torbido e Savuto, a poca distanza da Amantea. Infatti, lasciate le spiagge di Amantea (anche qui un borgo antico, forse più famoso), di Campora San Giovanni e Falerna, ci si allontana un tre miglia dal mare, salendo lungo la valle del Torbido: la strada si inerpica con lente curve fra ulivi, viti e querce. Superata la frazione di Marina di Savuto, si arriva all’abitato di Cleto, quello originario, ora in gran parte disabitato. Arrivati nella piazzetta che si apre come una terrazza, si continua a salire per un borgo che ha contato anche, se non ricordo male,  3000-4000 abitanti e che, avendone ora solo alcune centinaia, sembra un paese fantasma, ma non  abbandonato. Le strade e le abitazioni sono state restaurate, con attenzione per l’arredo urbano. Gli abitanti sono emigrati in giro per il mondo, e conservano qui le loro case, per tornarci magari poche volte. Qualcuno, qualche famiglia lombarda, sta comprando e riattando piccole abitazioni. Il luogo, specialmente d’estate, sotto il sole del primo pomeriggio, pare incantato. Ma deve esserlo pure d’inverno sotto la neve. Anche se l’altitudine non è elevata: a partire da 240 metri sul livello del mare. Lo si potrebbe elevare a “buen retiro”, o immaginare ripopolato di botteghe artigiane e di laboratori di artisti, come S. Paul de Vance, in Provenza (di lì era passato Picasso: si cerca allora il Picasso di Cleto). I vecchi centri agricoli o scompaiono o si riconvertono a un turismo “compatibile”, come si direbbe oggi. E un borgo come questo potrebbe farlo. Giocando sulla sua fondazione leggendaria. Un’ipotesi mitologica vorrebbe sia stato fondato da Cleta, un’ancella di Enea in fuga da Troia, che si sarebbe fermata qui, mentre Enea risaliva verso il Lazio. La mitica Cleta sarebbe ancora, più precisamente, la nutrice o la fantesca di Pentesilea, regina delle Amazzoni al tempo della guerra di Troia. Una fondazione al femminile, dunque, per questo paese, che, quando ha recuperato l’antico nome greco nel 1863, lo ha però volto al maschile. Dall’alto medioevo il paese era chiamato Pietramala, dal nome di una illustre famiglia (lo studioso locale Ugo Russo ha segnalato a docenti dell’Università di Perugia la presenza di tombe risalenti al 1000 a.C.). Adesso, sulla cima del borgo restano i ruderi di un castello a pianta quadrata, d’origine normanna, risalente al XIII secolo. Un altro castello, meglio conservato, sorge nella frazione Savuto, che lega il suo nome al vino locale, appunto il Savuto, già conosciuto dai romani come “vinum sanatum”. Oltre al vino, si produce olio. Nel territorio del comune vi sono sei frantoi e diverse aziende agricole. Oggi, gli amministratori comunali tentano il recupero e il rilancio del paese, anche vantandone le “glorie” locali. Il sindaco di Ottawa, in Canada, Bob Chiarello, è originario di Cleto. Può darsi che dal mio viaggio dell’anno scorso a oggi sia stato realizzato il gemellaggio con la città canadese. Me ne parlava il giovane vicesindaco (non so se recentemente ci siano state elezioni e le cose siano cambiate, ma mantengo il ricordo delle sensazioni e delle informazioni di allora), Stefano Orofino, Ds e laureato in filosofia con una tesi su Theodor W. Adorno. Faceva una strana impressione parlare, nella piazzetta-terrazza del paesino calabro, di filosofia tedesca: ma questo dà un’idea della  dinamicità delle sue genti, che sanno unire al recupero del passato l’apertura alle correnti principali della cultura del nostro tempo (anche se Adorno è oggi, per taluni, anche lui piuttosto demodé). Mario Medaglia, un altro dei giovani impegnati di questo borgo fuori del tempo e proteso verso un nuovo futuro, mi accompagnava in giro per la Valle, parlandomi dell’appassionato impegno politico e delle lotte locali. E anche mi parlava dei nomi della cultura cletese odierna. Di Francesco Volpe, ad esempio, che si è occupato della storia della Calabria e del pensiero politico meridionale. O del poeta, in lingua italiana, Arnaldo Filice. Un paesino che oggi conta meno di 1500 abitanti (comprese le frazioni) svela così al viaggiatore un microcosmo che vale la pena di essere conosciuto, anche per una vacanza in qualche modo alternativa. Da qui, godendosi un fresco maggiore anche in piena estate (il paese ha una collocazione tale che il clima è mite sia d’estate che d’inverno), in dieci-quindici minuti si scende al mare, alla cui confusione e congestione ci si può sottrarre risalendosene, quando si vuole, nel verde della valle. E andare via significa poi abbandonare un luogo della memoria.  


 Cleto, il paese dell’ancella di Enea. In Calabria uno dei borghi caratteristici del Sud, “Piazza Libertà”, Avellino, anno II, n. 221, giovedì 22 agosto 2002, p. 8.

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